lunedì 12 gennaio 2009

Virtù d’Amore

Di seguito la cronaca della rappresentazione dell'opera di Vittorio Gnecchi Ruscone "Virtù d'Amore", avvenuta a Verderio Superiore il 7 ottobre 1896. Fu scritta da un componente della famiglia del maestro, credo dal fratello del maestro, Cesare Gnecchi Ruscone.
La cronaca è molto lunga. Ho pensato di pubblicarla in due parti: la prima riguarda la preparazione dell'evento

(prima parte)

L’autunno 1896 a Verderio rimarrà caratterizzato dalla rappresentazione della Virtù d’Amore. La solennità che la rappresentazione assunse e il numero grande di persone che vi convennero, diedero alla festa privata l’aspetto quasi di avvenimento pubblico, perciò per tutto quanto riguarda la cronaca della serata possiamo ricorrere anche per il giornale di famiglia alle migliori pubblicazioni date da alcuni giornali essendo anche più corretto che il giudizio venga dato fuori dalla famiglia; e così riporteremo quanto scrissero in proposito Giulio Ricordi nella “Gazzetta Musicale”, Giannino Antona Traversi nella “Vita Italiana”, Sofia Bisi Albini nella “Rivista della Signorina” e G.B. Nappi nella “Perseveranza”.
Rimane la parte cronaca intorno all’operetta. La sua azione, la sua storia, che noi qui ricorderemo accennando alla parte intima e anedottica che altrimenti andrebbe perduta, Sarà questo un semplice ricordo di famiglia, conservato e se mai le prime promesse dovessero essere seguite da un brillante avvenire, queste note potranno fornire i dati per il primo capitolo della vita artistica di Vittorio Gnecchi.

Nell’autunno del 1895 era stato allestito il teatrino nel salone superiore della villa di Verderio e i ragazzi vi avevano recitato qualche commediola. Ora la zia Maria Rosso Bozzotti, che aveva passato una parte dell’autunno a Verderio, animata da quella sua ardente febbre di organizzare cose belle e nuove e artistiche e secondata dalla sua fantasia inesauribile, s’era fissata in mente di combinare per il prossimo anno, qualche originale spettacolo, nel quale ciascuno dei ragazzi potesse spiegare le sue non comuni doti artistiche. Un giorno del seguente inverno discorrendo intorno ai progetti per l’autunno, essa propose al nipote Vittorio di allestire un libretto di operetta , se egli si fosse impegnato a musicarlo, con la magra scorta dei suoi iniziati studi di contrappunto. Poiché egli aveva allora 19 anni e frequentando la terza classe liceale, non aveva ancora dedicato alla musica che esigua parte del suo tempo, e occupava le ore che poteva rubare agli studi classici più alla tecnica del pianoforte che allo studio della composizione.

L’idea di sua zia gli sorrise : l’accettò con entusiasmo: due giorni dopo zia Maria gli accenna la tela che lo seduce; in una notte è composta la prima scena e così, di fatto, è composto il libretto. Ma ancor prima che esso fosse terminato, le prime rie sono composte: alla primavera il lavoro è compiuto; solo l’ultima scena è terminata durante la stagione balneare a Santa Caterina; cosicché tutto fu pronto e copiato per l’esecuzione quando la nostra famiglia si riunì a Verderio per la vacanza autunnale, invitandovi pure la famiglia Rossi, la quale però per agevolare il ménage prese in affitto la villa Cassina a Paderno d’Adda e vi portò domestici, cavalli, ecc.

L’esecuzione di un’operetta di campagna è cosa tutt’altro che semplice; specialmente volendo ottenere un’esecuzione di prim’ordine, bisognava incominciare presto a pensare alle molteplici esigenze di un teatro. Il locale prima di tutto, poi gli scenari, l’illuminazione, i figurini, il vestiario, l’istruzione delle diverse parti e dei cori, l’orchestra, la stampa del libretto, dei programmi, degli inviti e gli infiniti accessori e dettagli di ogni genere.

A tutto il personale occorrente e al personale accessorio, ai parenti che accompagnavano i figli, a parte degli invitati, ai suonatori bisognava preparare l’alloggio. Per la sera della rappresentazione poi occorreva provvedere a riparare buon numero di carrozze e cavalli anche pel caso di pioggia.

Le preoccupazioni dunque erano molte e il tempo stringeva.
S’era alla fine di agosto e la rappresentazione si contava darla in fine di settembre. In un mese bisognava far tutto. – Zia Maria assunse la direzione artistica generale; Vittorio la parte istrumentale, mentre la parte vocale venne affidata alla signora Giulia Oddone Gavirati, la quale tosto si pose al paziente e difficile lavoro di istruire gli artisti-bambini (alcuni erano ignari di qualunque principio musicale) e vi si pose con quell’energia, quella competenza e quell’attività che tutti le riconoscono.

Per aiutarla i Rossi avevano condotto da Schio la signora Tolfo, ottima maestra di canto, la quale assunse e disimpegnò benissimo una parte, diciamo così, di “sostituta”. Il prof. Marazzani, che si diceva vecchio topo di palcoscenico, prese la parte del suggeritore. Vittorio Turati venne incaricato della stampa e dell’illustrazione del libretto, la cui edizione di estrema eleganza riuscì un vero gioiello. Il pittore Hohenstein, in quel tempo in gran voga perché incaricato di riformare il gusto artistico della messa in scena alla Scala, fece i bozzetti per le scene e i figurini per i costumi. Questi ultimi furono dapprima eseguiti con un’intonazione preraffaellita di gusto squisito.

Ma la semplice arcadica come avrebbe potuto essere intesa da un pittore primitivo esigeva delle figure sottili, slanciate, botticelliane. Sebbene tutte belle le nostre attrici, non rispondevano a quell’ideale, che era tanto facile disegnare su dei figurini. Era dunque meglio rinunciare a un’idea artisticamente deliziosa, se non fosse stato possibile seguirla alla perfezione. Perciò dopo lunghe discussioni, Hohenstein fu incaricato di rifare i 25 figurini, questa volta in stile settecentesco: così si sarebbero adattati meglio alle grazie delle nostre gentili artiste, non solo, ma anche alla musica, che l’autore aveva composto ispirandosi al carattere delle rappresentazioni pastorali che alla fine del ‘600 e nel secolo successivo si davano nelle corti italiane e francesi.

La sartoria Zampironi fu incaricata dell’esecuzione dei figurini con le migliori stoffe, le cui tinte furono scelte sapientemente da Hohenstein e dalle Signore, così da formare dei quadri di intonazione artisticamente indovinatissima. Il costume di Lyda fu fatto dalla sarta Mosca.

Lanfranconi provvide tutti i pastori di lunghe anella bionde e brune. Rancati fornì gli accessori e coprì di diamanti la Virtù d’Amore. Rovescalli fu incaricato dell’esecuzione delle scene…; ma quando si venne a concretare per queste, la faccenda era tanto cresciuta sotto mano che il teatrino del salone superiore veniva dichiarato insufficiente e si decise di fare un nuovo teatro a piano terreno nel locale detto del torchio, assai più ampio e capace, che fino allora aveva servito per giocarvi a tennis nei giorni piovosi. Bisognava costruire il palcoscenico, le scene, decorare il locale, pensare all’illuminazione, ai sedili, a tutto; ma con un po’ di buona volontà si arrivò ad ottenere che fosse curato ogni particolare, persino si provvide ad un’illuminazione elettrica provvisoria a mezzo di una locomobile facente funzionare una vecchia dinamo appartenente alla Società Edison, la quale gentilmente la prestò prima di collocarla nel museo e mandò anzi appositamente l’ingegner Clerici e l’ingegner Ettore Conti a fare l’installazione e a sorvegliare il funzionamento. Il fattore Cav. Carlo Lissoni venne incaricato di preparare gli stallazzi e nei diversi cortili e nell’arsenale vennero apprestate provvisoriamente scuderie per oltre un centinaio di cavalli e rimesse per una sessantina di carrozze. Difatti ne arrivarono effettivamente più di sessanta con 120 cavalli.

L’affare più serio erano gli alloggi per le persone, avendo dovuto ospitare per la sera della rappresentazione oltre gli artisti e i loro parenti, molti parenti nostri e amici che non avevano ville nelle vicinanze, ne erano stati invitati da villeggianti della nostra Brianza. Alcuni, come il conte Venosta e la signora Dina Volpi aprirono, per l’occasione, delle ville che da anni non erano abitate.

La nostra casa era ricolma: la mamma-grande aveva gentilmente offerto tutte le sue stanze disponibili, come pure zio Ercole nella sua villa di Paderno. Allo stesso scopo servì la casa Cassina di Paderno dove furono alloggiati un certo numero di giovinotti. Anche a questa bisogna era dunque provveduto. Per i professori d’orchestra (che si fermarono una settimana perché le prime prove si fecero a Milano) coristi, scenografi, ecc. furono preparati aloggi in case di contadini, dove mediante imbiancatura e acquisti di mobili più necessari alla pulizia, si prepararono delle stanzette convenienti. La loro [table-d’hotes] era all’osteria Motta.

Il lavoro di preparazione andava fervendo sempre più di giorno in giorno: le lettere, i telegrammi non si contavano più: messi speciali erano inviati di ora in ora a Milano; incaricati diversi arrivavano ogni giorno: sarti, calzolai, parrucchieri, tappezzieri, artisti, illuminatori, elettricisti, pittori, stampatori ecc. ecc. un pandemonio e frattanto proseguivano attivamente le prove, al piano prima, poi colla piccola orchestra di 14 professori. Fra questi tutti eccellenti sebbene giovanissimi, è notevole ricordare che, sotto la direzione dell’autore, suonavano il M. Tullio Serafin (allora diciottenne) al pianoforte, il M. Russolo all’harmonium, il M. Tannini (ora direttore d’orchestra) 1° violino; Vescovi 2° violino; il Prof. ….. viola (che fu poi prima viola della Scala); il Prof. Galeazzi (che fu poi primo cello alla Scala) cello; Francesco Sessa uno dei contrabbassi, ecc.

Il tenore cannonieri fu scritturato per cantare nei cori, unico professionista sul palcoscenico.
Ed ecco il programma indicante la distribuzione delle parti:

Personaggi
Virtù d’Amore (figura simbolica), S.na Elisabetta Oddone
Lida, pastorella, S.na Sandra Rossi
Dafne, pastorella, S.na Pia Gnecchi
Flora, pastorella, S.na Giuseppina Regalia
Clori, pastorella, S.na Maria Ballerini
Amarilli, pastorella, S.na Valentina Bozzotti
Iª pastorella, Donna Costanza Bagatti Valsecchi
IIªpastorella, Miss Jessie Mason
IIIª pastorella, S.na Anna Maria Bozzotti
Agasto, vecchio pastore cieco, padre di Lida, Sig. Alessandro Rossi
Aminta, pastore, Conte Giuseppe Visconti
di Modrone
Elpino, pastore, Cesare Gnecchi
Mirillo, pastore, Carlo Baulini
Tirsi, pastore, S.na Carla Gnecchi
Ciro, pastore, Cesare Rossi
Melibeo, pastore, Francesco Rossi
I° pastore, Giuseppino Baslino
II° pastore, Don Alessandro Casati
III° pastore, Don Pier Fausto Bagatti
Valsecchi
Cori di pastori e pastorelle.

Fra gli ospiti della nostra casa, oltre alle famiglie Rossi e Bozzotti, la duchessa Ida Visconti con Giuseppe e Guido, Remigia Ponti Spilateri, Maria Ballerini, S.na Gilda Tolfo, la sig.ra Oddone, Prof. Marazzani, Paolo Maesani, Fausto Bagatti Valsecchi, Emilio Silvestri, Gino Durini, Manfredi Olivia.

Una questione lungamente discussa fu quella dell’accesso al teatro, del passaggio cioè dalle sale dove il pubblico sarebbe stato prima radunato, al locale della rappresentazione lontanissimo e parecchi metri più basso. Il passaggio esterno era da escludere per il timore di un tempo cattivo o semplicemente per la temperatura che poteva essere fredda; il passaggio interno si poteva pure fare in più modi, ma erano tutti passaggi per così dire semirustici che occorreva convenientemente decorare per l’occasione. Vittorio ebbe l’idea di aprire una porta nel muro fra il torchio e l’ingresso esterno alla cappella, porta che avrebbe permesso di scendere dalla lunga scalinata che da appunto accesso alla chiesa per chi vi giunge dalla strada. Si adottò definitivamente questo progetto, decidendo di fabbricare un corridoio tutto tappezzato di rosso, sotto al palcoscenico, per giungere alla platea, perché la porta d’accesso si trovava ad essere appunto dietro il palcoscenico.

La scala lunga più di 50 gradini tutta coperta da un tappeto rosso e decorata a guisa di un pergolato da piante di bambù da ambo i lati, fra i cui rami brillavano lampadine elettriche, riuscì di un effetto fantastico. Per giungere dalle sale si dovevano percorrere tre corridoi e scendere da un’altra scaletta: tutti questi passaggi furono coperti di tappeti e le pareti adornate di tende antiche.

Illuminazione a braccioli con candele. L’ambiente del torchio dovette essere trasformato perché eccetto il soffitto esso è rustico. Tutto il pavimento per quasi 30 metri di lunghezza, fu coperto dal tappeto del ridotto della Scala (con grande allarme e molti reclami da parte dei giovani cantanti e della loro direttrice Signora Oddone perché avrebbe assai attutito l’acustica. Ma si ebbe il cattivo gusto di dare più peso ai piedi degli spettatori, - e il tappeto rimase) le pareti furono pure decorate con bambù e altre piante. Dai quattro balconi pendevano quattro magnifiche tende antiche prestate da Fausto Bagatti. Il fondo della sala fu coperto da una grande tenda rossa. Da ciascun lato dei muri due file di poltrone da giardino, nel centro tutte sedie rosse con cuscini rossi.

Tutta la decorazione del palcoscenico (dall’apertura di 7 metri) sollevato un metro e mezzo da terra, fu fatta in damasco rosso. Il velario fu il primo dei velari in velluto rosso a frange d’oro, che vennero poi adottati da tutti i teatri in sostituzione dei vecchi sipari.

Ma l’innovazione più importante fu quella introdotta nella struttura del palcoscenico, da Rovescalli: a Verderio furono per la prima volta eseguite le scene a completo panorama senza quinte, ottenendo tale effetto che l’inverno successivo il medesimo metodo fi adottato dallo stesso Rovescalli per la prima scena del Tristano alla Scala e dopo d’allora non fu più abbandonato nei grandi teatri.

Ciò che invece fu pure eseguito a Verderio con suggestivo effetto di verità, ma che non poté essere ripetuto in teatri di grandi dimensioni per ragioni tecniche, fu il cielo a volta. Tale innovazione consisteva in una enorme cappa celeste (armatura in legno coperta di tela) che si estendeva al di là del panorama dal quale distava circa 50 cm. La illuminavano intensamente lampadine disposte tutt’intorno, dietro al panorama stesso.

Così le piante, i cespugli, le montagne si distaccavano sull’azzurro omogeneo del cielo.

L’effetto poi del tramonto, alla fine del primo atto e al principio del secondo, ottenuto con lampadine di vari colori graduate col grande commutatore a tastiera del Teatro alla Scala, espressamente fatto impiantare, fu straordinario di verità e di poesia.

Non mancarono gli effetti di luce all’apparizione di Virtù d’Amore, all’uscita di Aminta dalla grotta, ecc. Fu l’ingegner Clerici in persona, in cima a una scala, che eseguiva le irradiazioni luminose. Dietro al palcoscenico, allo stesso livello di questo, fu preparato un salotto come foyer per gli artisti.

Sotto a questo e nella sala attigua si improvvisarono con paraventi un gabinetto di toilette e dei camerini, sebbene gli artisti (che erano 22) si sarebbero vestiti nelle loro stanze. Il loro accesso al palcoscenico doveva avvenire dal passaggio interno che conduce alla cantina e prosegue per le scuderie.

Dal 20 al 25 di settembre si diramarono gli inviti in stampa per la rappresentazione fissata per il 7 ottobre.

All’antiprova generale coi costumi assistette il Comm. Giulio Ricordi che rimase incantato dalla buona riuscita dello spettacolo: la prova del suo entusiasmo ci viene dal suo articolo nel giornale la “Gazzetta Musicale”. Alla prova generale furono invitati, oltre alla famiglia , i contadini, il personale di servizio, la Contessa Cecilia Lurani e Franco da Venezia. A quasi tutte le prove assistette il M. Saladino che era venuto a villeggiare a Cernusco.

E finalmente spuntò anche la vigilia di questo giorno, una splendida che faceva bene presagire anche pel domani: e venne anche il domani. La casa era tutta preparata pel ricevimento che doveva precedere e pel ballo che avrebbe seguito la rappresentazione con relativa cena: e siccome ai numerosi inquilini di Verderio (solo la casa principale ospitava 52 persone) non rimaneva più disponibile la sala da pranzo, già disposta per la cena , si supplì riducendo a sala da pranzo lo studio di papà ove il pranzo di 40 coperti (i più intimi erano stati invitati a pranzo dai parenti), riuscì anzi ammiratissimo disposto come fu a tavolini di 4 persone. Per illuminazione, un candelabro su ogni tavolino.

Ecco il menù:






Distribuzione di alcuni tavolini:





























Nel salone non vi era ancora parquet. Perciò era stato disteso un tappeto completo di tela bianca con ottimo effetto. Già al mattino le sale erano colme di fiori, quando arrivò un carro da [Tassera] (villa Bozzotti) con casse di splendide rose. Ne furono riempiti tutti gli angoli – e i due grandi cesti di verde appesi al soffitto del salone divennero due immensi mazzi di rose.
Emilio Silvestri ricordando le sue mansioni a S. Siro, si era incaricato di organizzare il corso delle carrozze. Furono disposti fanali e torcie a vento in giardino e sul cancello: una dozzina di uomini con torcie a vento illuminavano la strada e l’entrata del paese e il passaggio all’arsenale.
Il servizio funzionò egregiamente. Alle 9,30 di sera il pubblico già adunato nella sala superiore, scese a teatro. Sola ritardataria fu Ernesta Scheiber che veniva da Castellazzo (Milano), in carrozza! (aveva fatto predisporre un relais a Monza). Del resto questo sistema di viaggio, che oggi sembra tanto primitivo, era forse il più consono al carattere settecentesco e della casa e dello spettacolo avendo esso certa analogia colle chaises de poste. Ma poiché era tempo di rivoluzione…. Pacifica non mancò, in mezzo ai veicoli “ancien régime” una precoce automobile, quella della sig.ra Maria Silvestri Volpi giunta quasi miracolosamente senza “pannes”.

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