domenica 25 gennaio 2009

HILDE ED HERTA SALVATE DA ADELE


HILDE ED HERTA SALVATE DA ADELE.1

Del fatto che mi accingo a raccontare sono venuto a conoscenza aiutando un giovane americano, Alec Pollak, a rintracciare a Vimercate i famigliari di Adele Cantù, la donna che, nel periodo dell’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), ospitò due sue antenate, nonna e bisnonna, ebree in fuga dalla Germania.

Issac Milgelgrün, la moglie Hilde Strauss e la figlia Herta, ebrei tedeschi, giunsero in Italia nel 1937 e si stabilirono a Milano. Commercianti, si dedicarono alla vendita di diversi prodotti, in particolare articoli di pellicceria. Nel 1941 Issac fu arrestato nelle vie della città e, in quanto ebreo straniero, internato nel campo di Ferramonti di Tarsia2, in provincia di Cosenza.

Dopo il suo arresto, Hilde ed Herta continuarono da sole l’attività commerciale e andarono ad abitare in un appartamento in piazzale Lagosta, lasciato libero da un conoscente, un certo Annoni, sfollato in campagna per sfuggire al pericolo dei bombardamenti.

Dopo l’8 settembre 1943, quando la permanenza a Milano per gli ebrei diventò più pericolosa, lo stesso Annoni consigliò alle due donne di recarsi a Vimercate e chiedere ospitalità alla signora Adele Cantù. Questa mise a loro disposizione un locale nella casa in via Pinamonte 8 (ora 14), la “Curt di Belüsch”, dove abitava con uno dei figli, Luigi, la nuora, Agnese, e due nipoti, Fausta e Fernando.

In realtà Cantù era il cognome del marito Pietro, di cui Adele era rimasta vedova; il suo cognome da nubile era Ronchi. Era nata a Vimercate, cascina Grifalda, il 21 giugno 1877, da Davide e Luigia Buratti. Morirà all’età di 70 anni, il 10 febbraio 1948.

A Vimercate Hilde ed Herta vissero con documenti falsi, procurati loro da un pellicciaio milanese, intestati a Renata (quello per la madre) e Vera Cantù. Si guadagnavano da vivere recandosi ogni giorno a Milano a vendere scampoli di pelliccia; solo la sera facevano ritorno a Vimercate. Qui, per prudenza, rimanevano sempre in casa: Adele e i suoi famigliari erano le loro uniche conoscenze. Nella stanza, con un fornello elettrico, cucinavano il cibo che, non essendo in possesso di tessera annonaria, si procuravano al mercato nero.

Questa situazione si protrasse fino alla Liberazione: poi tornarono a Milano dove poterono ricongiungersi con il marito e padre Issac, che però, a causa di una malattia contratta durante l’internamento, morì poco dopo, il 9 gennaio 1947, e fu sepolto nel settore ebraico del Cimitero Maggiore.

Nel 1947 Herta sposò Branko Pollak e nel 1951, con la madre e la nuova famiglia, composta ora anche dal figlio Rodolfo, lasciò l’Italia per gli Stati Uniti.

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L’ospitalità offerta da Adele e dalla sua famiglia fu, molto probabilmente, decisiva per la salvezza di Hilde ed Herta. Quest’ultima, il 23 gennaio 2003, in una lettera ad Andrea Rurale, allora assessore alla cultura del comune di Vimercate, così esprimeva la sua riconoscenza:

Dopo tanti anni è ancora vivido nella mia mente l'aiuto che la famiglia Cantù ha dato a me e a mia mamma, salvando la nostra vita in un momento così difficile, rischiando la loro vita. Il cuore di questa famiglia che ci ha dato alloggio resterà finché io vivo nella mia mente e la mia gratitudine sarà eterna”.

Nel periodo dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale, quando anche in Italia - dove già dal 1938 erano in vigore le leggi di discriminazione razziale- iniziò la politica di sterminio degli ebrei, se la delazione e l’indifferenza di alcuni furono causa di arresti e deportazioni, gesti di solidarietà e generosità, come quello di Adele Cantù, valsero a salvare la vita di molti perseguitati.

Ricordare persone, famiglie, istituzioni che non lesinarono il loro aiuto, oltre a rappresentare un doveroso riconoscimento verso nobili comportamenti, serve a sfatare l’opinione che, in quelle condizioni, nulla si potesse fare. La memoria degli atteggiamenti positivi non deve tuttavia far dimenticare, sottovalutare o indurre a negare le colpe di coloro che, coscientemente e attivamente, aiutarono i persecutori: collaborazione con i carnefici e solidarietà con le vittime furono due aspetti, non gli unici, del comportamento degli italiani, due aspetti che non si elidono a vicenda e nessuno dei quali, da solo, può essere chiamato a rappresentare l’intera realtà



1 Questo articolo è stato pubblicato in forma ridotta dalla rivista “ la curt – Amici della Storia della Brianza” , N.3, marzo 2007.

2 L’ordine di arresto per gli ebrei stranieri – “appartenenti a stati che fanno politica razziale” – e apolidi, di età compresa fra sedici e sessant’anni, fu emanato dal capo della polizia il 15 giugno 1940. Per le donne e i bambini fu invece previsto il domicilio coatto presso determinati comuni. Il campo Ferramonti, situato a 6 Km da Tarsia, fu uno dei 51 campi d’internamento istituiti dal Ministero dell’Interno e uno dei 40 che ospitarono ebrei. Composto da grandi capannoni in legno, ospitò una media di 1000 prigionieri, con una punta massima di 2000 nell’estate del 1943. Fu liberato, primo in Europa, il 14 settembre 1943, dai soldati dell’VIII Armata Britannica. Cfr. C.S. Capogreco, L’internamento degli ebrei stranieri ed apolidi dal 1940 al 1943: il caso di Ferramenti – Tarsia, Roma, Italia Judaica, IV, 1993.

Le notizie riguardanti la permanenza in Italia di Hilde, Herta e Issac mi sono state fornite dal nipote di Herta, Alec Pollak. Per quanto riguarda Adele Cantù e la sua famiglia, ho avuto informazioni dalla nipote, Fausta Cantù, e ho trovato altri dati nell’Archivio Parrocchiale di Vimercate, con l’aiuto del gentilissimo signor Carlo Mauri.


Le immagini, dall' alto:

Herta (a sinistra) e Hilde in una strada di Milano

Adele Cantù

Issac Milgelgrün e la sua tomba al cimitero Maggiore di
Milano



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