"DEPOSIZIONE DI CRISTO", CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO |
Dirigendosi verso l'uscita della chiesa dei Santi Giuseppe e Floriano di Verderio, sul fondo della navata destra, è posta in controfacciata un'opera dipinta ad olio su tela, databile intorno alla metà del XVI secolo.
Nel censimento delle opere d'arte e dei beni presenti nelle chiese lombarde, fatto realizzare dalla Curia in anni recenti, l'opera è stata catalogata, per quanto riguarda il soggetto, come Deposizione di Cristo nel sepolcro.
In realtà, ritengo che in questa tela siano due i soggetti identificabili e sovrapposti: il Trasporto del Cristo morto e la Deposizione del corpo nel sepolcro.
Il Trasporto del corpo di Cristo è un'iconografia tipicamente rinascimentale, poiché non esistono esempi del genere nell'arte dei secoli precedenti.
Di solito il corpo è adagiato su un lenzuolo tenuto da due uomini, identificabili in Giuseppe d'Arimatea, che tiene il lenzuolo in corrispondenza della testa di Gesù e in Nicodemo, che tiene il lenzuolo in corrispondenza dei piedi. Generalmente completano la scena le figure di San Giovanni Evangelista, le pie donne e la Vergine, colta nell'atto di perdere i sensi.
La Pala Baglioni, opera giovanile di Raffaello, conservata nella Galleria Borghese di Roma, è forse una delle interpretazioni più famose del tema.
La Deposizione di Cristo nel sepolcro, invece, ha assunto nel periodo che va dal Medioevo al Rinascimento, iconografie diverse: in antico, l'evento si svolgeva dinanzi a una grotta, che presentava un ingresso accanto al quale era disposta una grande lastra, oppure all'interno del sepolcro; nel Rinascimento, invece, il sepolcro è simboleggiato da un sarcofago, in cui sta per essere calato il corpo di Cristo. I personaggi che animano la scena sono più o meno gli stessi presenti nel Trasporto.
È indubbio che i due episodi, presenti consequenzialmente nella trattazione evangelica, sono affini iconograficamente e presentano molte similitudini che, nell'opera di Verderio, sono ben rilevabili.
"DEPOSIZIONE DI CRISTO", CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO: alcuni personaggi |
Alle estremità del dipinto sono rappresentati i due membri dell'Alto Consiglio, cioè Giuseppe d'Arimatea a destra, Nicodemo a sinistra. I due uomini anziani, con la barba fluente ed imponenti copricapo, reggono saldamente l'uno il corpo di Cristo, sostenendolo dalle ascelle, l'altro gli angoli del lenzuolo, in modo da suggerire lo sforzo, non ancora concluso, del trasporto.
Al centro della composizione, la Vergine Maria china sul corpo del figlio e la figura di un apostolo, probabilmente Giovanni Evangelista, lo sguardo rivolto alla mano violata di Gesù.
Alle loro spalle appaiono, dimesse e dolenti, due pie donne.
Interessante è soprattutto la terza figura femminile, quella posta fra la Vergine e Nicodemo. Questa donna, più giovane e meglio caratterizzata in termini di capigliatura ed abbigliamento rispetto alle altre due, stringe al petto una coppa. La presenza di questo oggetto la rende figura simbolica: è “Ecclesia”, cioè il simbolo della Chiesa che, avendo raccolto in un calice il sangue uscito dalla ferita nel costato di Cristo, si fa unica depositaria del messaggio evangelico e della redenzione degli uomini.
Tutti i personaggi gravitano intorno alla figura di Cristo. Il corpo morto sta per essere adagiato nel sarcofago, del quale si intravedono appena i bordi: le forme sono innaturalmente allungate, il braccio destro stretto fra le mani della Vergine, il sinistro spinto in avanti, verso il piano visivo dello spettatore.
A sottolineare lo stato e la condizione del Cristo, concorre indubbiamente il formato dell'opera: il dipinto, che misura circa due metri in lunghezza, per novanta centimetri d'altezza, forza la composizione nella sua dimensione orizzontale, mettendo l'accento sulla posa del Cristo, rispetto a tutti gli altri personaggi astanti.
"DEPOSIZIONE DI CRISTO", CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO, VERDERIO: particolare dello sfondo |
Seppure tutta l'attenzione si concentri sull'evento rappresentato in primo piano, il nostro occhio non può non venire egualmente catturato da quel piccolo brano di paesaggio che si apre nell'estremità destra del quadro: sullo sfondo del cielo, che va schiarendo all'orizzonte, si stagliano le tre croci, due occupate dai ladroni, vuota quella al centro, alla quale è ancora visibilmente appoggiata la scala che ha permesso a Nicodemo di liberare dai chiodi il corpo di Cristo.
Il Golgota è rappresentato, secondo la tradizione, come una collina e dal luogo dove sono poste le croci si diparte un piccolo sentiero che corre a zig-zag, sentiero che permette allo spettatore di ripercorrere la strada compiuta dai personaggi raffigurati in primo piano, mettendolo in grado di ricostruire mentalmente lo svolgimento degli eventi: crocifissione, morte, deposizione e sepoltura di Cristo.
Parallelamente al bordo superiore dell'opera, corre una scritta in latino: HUMANORUM GENUS REDEMPTIO. Forse incompleta e oggi scarsamente leggibile, la frase può essere liberamente tradotta come “la redenzione del genere umano”, alludendo cioè come dalla morte di Gesù, tema dell'opera, sia derivata la salvezza degli uomini.
Da un punto di vista stilistico, il quadro non è di elevata fattura, opera di un esecutore che non possiede le qualità di un grande maestro, quanto piuttosto la tecnica del buon mestierante.
I visi non sono particolarmente espressivi e appaiono poco caratterizzati (si vedano, per esempio, i volti quasi identici di Giuseppe e di Nicodemo); si denota una certa secchezza di stile sia nella resa delle forme (il volto “scavato” della Vergine, l'evidente sproporzione delle parti del corpo, un po' legnoso, di Cristo), sia nella fattura delle vesti, dalle pieghe dure e rigide.
Allo stato attuale è difficile valutare l'aspetto cromatico della tela, i cui colori appaiono un po' spenti, necessitando l'opera di un'adeguata pulitura.
Non si può però, nel complesso dell'opera, non apprezzare l'attenzione che l'ignoto autore ha dedicato ai tessuti preziosi e ricercati che rivestono i personaggi e, soprattutto, il toccante intreccio di braccia e mani di Maria e suo figlio, che l'artista ha posto significativamente al centro del quadro.
Elisabetta Parente, 2002
Testo tratto da: Elisabetta Parente, "La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano: la genesi architettonica e le sue opere", terzo capitolo del libro: VERDERIO, La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano 1902-2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa.
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