martedì 7 settembre 2010

L'INTRICATA VICENDA DEL TRASFERIMENTO A VERDERIO SUPERIORE DEL POLITTICO DI GIOVANNI CANAVESIO di Marco Bartesaghi



Il 26 ottobre 1902 alla consacrazione della nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore, dedicata ai santi Giuseppe e Floriano, oltre che dalla bella architettura e dalle vivaci decorazioni i convenuti furono favorevolmente impressionati dalla presenza di un'antica opera d'arte, di notevoli dimensioni, che, per il ruolo di pala dell'altare maggiore che le era stato assegnato, attirava su di sé l'attenzione (1).
Si trattava di un polittico dipinto da Giovanni Canavesio da Pinerolo, pittore che nel XV secolo aveva lavorato soprattutto nell'entroterra della Liguria occidentale, dove sono ancora presenti diverse sue opere.
Anche il polittico di Verderio proveniva da una cittadina ligure, Pornassio, in provincia, allora, di Porto Maurizio, oggi di Imperia. Lì era stato conservato dal 1499. Formato da 31 scomparti, è dipinto a tempera ed è dedicato alla Vergine e a San Dalmazio (2).
La chiesa di S. Dalmazio a Pornassio

I giornali e le riviste che scrissero della nuova chiesa dedicarono spazio anche all'opera di Canavesio, segnalandone l'importanza artistica ai propri lettori. Nessuno però si preoccupò di capire e di spiegare in modo esauriente come essa fosse finita a Verderio: solo qualche cenno, alquanto superficiale.
Così ne parlò ad esempio Luca Beltrami nel suo opuscolo di presentazione della nuova chiesa:
"A decorare l'altare maggiore, la famiglia Gnecchi ebbe la singolare ventura di poter disporre di un grandioso polittico...". "Singolare ventura", niente di più. È evidente come il modo in cui la pala era giunta a Verderio non fosse ritenuto interessante (3).



Invece la vicenda è abbastanza travagliata, si svolge in un arco di tempo di cinque-sei anni, coinvolge diverse istituzioni e alcuni personaggi noti a quel tempo. Inoltre presenta aspetti ancor oggi molto poco chiari: è difficile infatti stabilire, a più di cento anni di distanza dai fatti, a chi appartenga realmente il polittico, se alla parrocchia di Verderio Superiore, come generalmente si pensa, o alla Pinacoteca di Brera, come la ricerca documentale sembrerebbe indicare.

Dirò subito che la ricostruzione che mi accingo a presentare non giunge a risolvere questo enigma.
Essa si basa su due serie di documenti. La prima è conservata a Roma presso l'Archivio Centrale dello Stato, fra le carte del Ministero dell'Istruzione Pubblica, che all'epoca era competente anche per la salvaguardia dei beni culturali e comprendeva la Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti (4). La seconda serie è conservata invece a Milano, presso l'Archivio della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, che ha sede a Brera (5).

Nel gennaio del 1898 il polittico era stato venduto dalla parrocchia di Pornassio a Pietro Mora, titolare a Milano, in società con i fratelli Giovanni e Luigi, di un negozio di antiquariato e di uno di "mobili artistici" prodotti in una loro fabbrica a Bergamo.
Il negozio di antiquariato si trovava in via S. Paolo al n.10, nell'antico Palazzo Spinola, sede, allora come oggi, della Società del Giardino, uno dei principali circoli della città (6).
Il Mora acquistò l'opera a lire 2000, la trasportò a Milano, la ricompose e, probabilmente, effettuò dei lavori di restauro sulla struttura in legno (7).

Il 6 dicembre 1898 il direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria comunicò al Ministero dell'Istruzione Pubblica di essere venuto a conoscenza della vendita di quadri delle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco (8). Tali vendite erano state effettuate senza l'autorizzazione del governo, prevista dall'articolo 434 del Codice Civile, e senza quella della Corte d'Appello, richiesta dalle RR. Patenti del 19 maggio 1831, ancora in vigore in Piemonte e Liguria, autorizzazioni necessarie per l'alienazione dei propri beni da parte degli enti ecclesiastici (9).
Del quadro di Pornassio, la lettera dice chi è stato l'acquirente (Pietro Mora) e, dopo una breve descrizione, riporta testualmente la scritta in latino che stabilisce la data di realizzazione, attribuisce l'opera al Canavesio e attesta che essa era stata voluta dalla comunità di Pornassio per onorare la Vergine e S. Dalmazio (10).
Il direttore lamenta di non essere stato informato della vendita da parte del Regio Ispettore di Albenga, avvocato Lanusol, e comunica di averlo sollecitato a compilare le schede inventariali delle chiese del suo circondario, "perché non abbiano più a succedere inconvenienti di questo genere". In seguito dovrà correggersi, dopo che dal Ministero gli venne fatto presente che Pornassio non ricadeva nella zona di competenza dell'ispettore di Albenga, bensì di quello di Porto Maurizio (11).

Dopo la segnalazione, il Ministero dell'Istruzione Pubblica inviò un telegramma al Prefetto di Porto Maurizio, invitandolo ad "assumere ampie informazioni" e a "procurare possibilmente sequestro quadri" (12). Rivolgendosi poi al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti chiese che venissero denunciati all'autorità giudiziaria i parroci coinvolti (13).

La risposta del Prefetto arrivò poco più di un mese dopo, il 14 gennaio 1899.
La sua indagine  aveva permesso di conoscere i motivi che avevano spinto la Fabbriceria di Pornassio a disfarsi del dipinto. Secondo i fabbricieri la vendita era giustificata dalle sempre peggiori condizioni del quadro e dalla necessità di reperire denaro per urgenti lavori di manutenzione sui beni della parrocchia. Il Prefetto poté appurare che gran parte della somma riscossa era già stata impiegata per dotare la chiesa di un nuovo pavimento in marmo (lire 500), per tinteggiare (lire 470) e restaurare (lire 95,35) il locale Santuario della Madonna della Chiazza e per acquistare alcuni mobili (lire 570). L'avanzo (lire 364,65) era stato depositato su un conto bancario.
Santuario della Madonna della Chiazza



A sostegno del proprio operato i fabbricieri addussero il consenso quasi totale della popolazione e l'autorizzazione del Vescovo di Albenga (14). Egli, interpellato, confermò di aver espresso parere favorevole all'operazione e scrisse, a giustificazione propria e della Fabbriceria, che quest'ultima "non credeva esser proprietaria di un oggetto artistico" e che se Lui l'avesse sospettato, al "nihil obstat" pronunciato avrebbe "aggiunto una parola per ricordare l'obbligo di prendere le dovute licenze dalle competenti autorità" (15). 
Anche la giunta comunale dichiarò di essere stata a conoscenza della vendita e di averla approvata in quanto "il quadro...montato in legno, andava in deperimento perché vecchio e tarlato, ed era di poco ornamento alla chiesa" (16).

Intanto, già dal 15 dicembre 1898, la questura di Milano aveva rintracciato presso il Mora il dipinto e l'aveva posto sotto sequestro.
L'ufficiale incaricato, la guardia di città Giovanni Castioni, per le sue dimensioni, per il cattivo stato di conservazione e per non aver ricevuto le necessarie istruzioni, si trovò costretto, a suo dire, a lasciare in deposito il bene sequestrato presso l'antiquario, al quale furono spiegate le gravi responsabilità penali in cui sarebbe incorso se "avesse a trafugarlo o a muoverlo dal luogo dove si trova sotto qualsiasi pretesto".
In quell' occasione il Mora dichiarò di essere stato certo di aver agito nel pieno rispetto della legalità e mostrò, a sostegno della sua buona fede, i documenti con le autorizzazioni ricevuti dalle autorità parrocchiali di Pornassio (17).

A sequestro avvenuto i due ministeri interessati dovettero decidere in merito a due importanti questioni: se procedere legalmente contro i soggetti coinvolti nell'affare e se far tornare la pala a Pornassio o destinarla ad altro luogo. Su entrambi i problemi le posizioni dei dicasteri furono divergenti.
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica, non potendo intervenire direttamente, si appellò a quello di Grazia e Giustizia affinché procedesse contro i responsabili in base all'articolo 434 del Codice Civile. Due i motivi a sostegno di questa posizione. Primo, il pericolo che l'indulgenza potesse incoraggiare la cupidigia degli speculatori, sempre pronti ad approfittare dell'ignoranza in cose d'arte dei fabbricieri e dei sacerdoti. Secondo, la necessità di rispondere all'atteggiamento ostile del clero piemontese nei confronti del governo, comportamento che "paralizza tutte le buone intenzioni di questo Ministero per tutelare il patrimonio artistico delle chiese". Un esempio? L'opposizione di parroci e fabbricieri alla catalogazione degli oggetti d'arte delle parrocchie (18).
Di diverso avviso il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti che, sentito il parere del Procuratore Generale della Corte d'Appello di Genova, riteneva di non dover procedere perché la vendita "avvenne nella massima buona fede e nell'ignoranza di tali prescrizioni legislative, con l'assenso dei fedeli e della Giunta Municipale e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica". Sui fabbricieri affermava inoltre: "trattasi di persone probe, che prestano opera disinteressata per la chiesa, e che sono anch'esse rimaste dolenti della contravvenzione alla legge" (19).
La replica non si fece attendere. Il Ministero dell' Istruzione Pubblica ribatté che il consueto atteggiamento permissivo dei Procuratori Generali (citava quelli di Venezia e Torino), tendente a riconoscere sempre la buona fede, il disinteressato impegno etc. e ad assolvere i responsabili, non avrebbe avuto più ragione d'essere, dopo un pronunciamento della Corte di Cassazione che aveva annullato una sentenza del Tribunale di Camerino affermando che "la buona fede non è ammissibile" (20).
La controreplica non fu immediata. Essa appariva, nella forma, aperta al dialogo, affermando che il Ministero non avrebbe mancato in futuro di tener presenti gli argomenti espressi dall'Istruzione Pubblica. Era secca però nella sostanza: "questo Ministero persiste nel ritenere che non sia il caso di promuovere un giudizio contro i singoli componenti la Fabbriceria di Pornassio..." (21).

Anche sulla destinazione del bene sequestrato le opinioni non furono concordi.
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica indicò, e in seguito ribadì, che la miglior soluzione sarebbe stata quella di far tornare il polittico alla sua sede naturale, la chiesa di Pornassio. Interessanti e, a mio avviso, molto avanzate le motivazioni, che meritano di essere trascritte:
"Non posso poi ammettere, per regola generale, che le chiese si spoglino dei loro dipinti famosi neppure al fin di venderli allo Stato; perché un dipinto, levato dal luogo originario e dalle condizioni di luce in cui volle farlo apparire il suo autore, ha già perduto una parte del suo pregio" (22).
Ebbe la meglio però, ancora una volta, l'altro dicastero che, constatato che la Fabbriceria non era più in grado di riscattare il bene venduto, propose di destinarlo ad un museo o altro ente simile. In seguito, dopo aver verificato l'inesistenza nel territorio di istituzioni idonee, indicò come possibile acquirente la Regia Pinacoteca di Brera a Milano (23).

Corrado Ricci

A questo punto, la Pubblica Istruzione, che non rinuncerà comunque, in vari altri momenti della vicenda, a ribadire le proprie posizioni, si piegò alle proposte del Ministero di Grazia e Giustizia.
Prima di rivolgersi, come indicatogli, alla pinacoteca milanese fece però un tentativo con quella torinese, sembrandogli probabilmente più idonea per via delle origini piemontesi del Canavesio. Nella lettera, dopo aver riassunto i fatti e aver fornito notizie del dipinto e prima di proporre di far visita al Mora per valutare l'opportunità dell'acquisto, il ministero non mancò di aggiungere nuovi e interessanti argomenti a sostegno della sua preferenza per la restituzione del bene alla comunità di Pornassio: "Non è bello, certamente, che una chiesa, per sopperire alla manutenzione del fabbricato, venda un oggetto d'arte il quale, oltreché essere la sua più bella decorazione, era un testimonio della pietà degli avi, un voto sacro collocato in quella chiesa con evidente assegnazione di perpetuità" (24).
Il polittico era già stato offerto alla Pinacoteca di Torino dalla stesso Mora. Nessuna trattativa era però stata intavolata poiché la galleria possedeva già un'opera simile dello stesso autore (25). Anche la proposta dell'Istruzione Pubblica non fu accolta con la motivazione che l'acquisto "non arricchirebbe la quadreria di nuovi elementi". Il diniego fu accompagnato dal consiglio di rivolgersi a Pinerolo, luogo natale dell'artista, o a Genova, città dove egli godeva di grande considerazione (26).


Giovanni Canavesio, Madonna con Bambino e Santi, Galleria Sabauda di Torino
Il Ministero si rivolse invece alla R. Pinacoteca di Brera con una lettera molto simile alla precedente, datata 14 settembre 1899 (27). La risposta, del 21 ottobre, è positiva e porta la firma del direttore, Corrado Ricci: "..l'ho trovato interessante pel suo complesso di molte parti con numerose figure; pel ricco scompartimento dorato e per la firma autentica del pittore. .... Questa Pinacoteca può benissimo acquistarlo al prezzo convenientissimo di lire 2000" (28).
A questo punto la vicenda appare ormai definita e per la conclusione vera e propria sembra mancare solo il nulla osta alla vendita da parte della Corte d'Appello di Genova. Questo documento si fece attendere, al punto che nel mese di giugno del 1900, sette mesi dopo aver espresso il suo assenso, Ricci chiese al Ministero a che punto fossero le pratiche (29). Solo il 16 agosto la Fabbriceria di Pornassio comunicherà a Brera di essere stata autorizzata alla vendita da un decreto della Corte d'Appello del capoluogo ligure, emanato il 31 luglio 1900 (30).
Nei mesi precedenti, forse sollecitata dal Mora, la Fabbriceria si era fatta viva con la galleria milanese, per far notare che le 2000 lire concordate non tenevano conto del fatto che l'antiquario aveva sostenuto spese per il trasporto a Milano e che avrebbe potuto inoltre pretendere gli interessi, avendo impegnato quella somma già da due anni (31). Brera rispose di essere stata autorizzata a spendere 2000 lire "non un centesimo più o meno" (32).
Il 28 agosto, la data è importante, la Pinacoteca comunicò a Pietro Mora che il giorno 30, alle ore 10, i fratelli Annoni, ebanisti, si sarebbero recati da lui per avere in consegna la pala di Giovanni Canavesio (33).

Mentre i fatti sembrano svolgersi in modo lineare, sotto la superficie i Mora brigano per non perdere il profitto, per realizzare il quale avevano acquistato il dipinto. Incuranti della sentenza del giudice e delle prescrizioni del questore, pensavano forse che, di fronte al fatto compiuto di una vendita, purché non destinata all'estero, le autorità avrebbero alla fine chiuso un occhio e lasciato fare.
L'occasione si presentò loro con i fratelli Gnecchi Ruscone che a Verderio Superiore, dove erano di gran lunga i principali possidenti di case e terreni, stavano costruendo la nuova chiesa parrocchiale, voluta e finanziata dalla loro mamma, Giuseppina Turati, deceduta il 18 luglio 1899, quando i lavori erano già iniziati da poco meno di un anno (34).
Per il nuovo edificio, disegnato dal nobile Fausto Bagatti Valsecchi (35), gli Gnecchi avevano pensato di trovare alcuni arredi autentici del quattrocento. Perciò si erano rivolti ai Mora: in uno scritto, senza data, né destinazione, né firma, gli antiquari affermavano di dover fornire per la nuova chiesa di Verderio "...un coro originale dell'epoca, un Cristo sopra la navata pure antico e molte altre cose. Così si avrà un complesso tutto antico autentico" Nello stesso testo scrivevano inoltre che il quadro del Canavesio "fu venduto al cav. Francesco Gnecchi" (36) il quale "ne fa regalo alla Chiesa Parrocchiale di Verderio Superiore [...] quindi non esce dallo stato" (37).
I Mora avevano trovato gli acquirenti per un'opera posta sotto sequestro e della quale non erano proprietari!
L'accordo per la vendita era stato stipulato nei primi mesi del 1900. Adducendo ritardi del Ministero per il rilascio dei permessi (38) e prendendo a pretesto anche lo stato di avanzamento dei lavori della chiesa (39), i Mora ad agosto non avevano ancora consegnato il polittico. Il 29 agosto, il giorno prima che Brera ritirasse il dipinto, Francesco Gnecchi scrisse al Ministro dell'Istruzione Pubblica, onorevole Gallo, per sollecitare la chiusura della pratica: la lettera parlava di un trittico proveniente dalla chiesa di Oneglia, in Liguria, e non faceva alcun cenno all'autore. Evidentemente, oltre a non essere stato messo al corrente della situazione giudiziaria dell'opera d'arte che si accingeva a comprare, era stato tenuto all'oscuro anche della sua esatta provenienza (40).

Francesco Gnecchi Ruscone
 
Il Ministero, allarmato da una vendita da parte della parrocchia di Oneglia, di cui non era stato messo a conoscenza, si rivolse subito all'ufficio piemontese per la Conservazione dei Monumenti affinché indagasse (41). Negli stessi giorni però ricevette una lettera dai fratelli Mora, un capolavoro dell'arte della persuasione commerciale che merita di essere ampiamente trascritto, che svelava che il quadro in questione non era altro che il polittico proveniente da Pornassio.
La lettera, praticamente un'arringa contro il direttore di Brera, iniziava dicendo che la loro ditta, "Casa di artisti che vive serenamente dell'arte...", aveva venduto il dipinto di Canavesio al Cav. Gnecchi Francesco per la chiesa di Verderio. Poi continuava:
"Il direttore della Pinacoteca di Brera s'è fissato di averlo e non vede nella sua buona fede di raccoglitore, che questo quadro sarà più utile a far da Re nella erigenda chiesa monumentale [...] che da ultimo dei servi in Brera.
Osteggiare l'opera grandiosa regale del Cav. Gnecchi e rendere priva anche l'istruzione pubblica della riuscita di un monumento che avrà il carattere nazionale e che posto in un centro popoloso laborioso alle porte di Milano - Como - Lecco e Bergamo, dove gli studiosi di ogni arte potranno studiare anche l'effetto pittorico e generale, ci pare cocciuta ed odiosa non perdonabile nemmeno al maniaco che gli basta raccogliere bene o male purché agglomeri" (42).
Infine, dopo aver affermato che il direttore di Brera avrebbe fatto meglio ad utilizzare le 2000 lire per trattenere in Italia qualcuna di quelle opere per le quali invece firmava il nulla osta all'espatrio, i Mora invitavano il Ministero a far sì che Brera "soppraseda alle sue determinazioni". Nessun accenno al fatto che l'opera fosse sotto sequestro.
La lettera, indirizzata all'ente più tenacemente contrario alle vendite di opere ecclesiastiche, non sortì naturalmente effetto. Non c'è fra i documenti una risposta ma, di fatto, i Mora escono, almeno per il momento, di scena.

Emilio Visconti Venosta
Nicolò Gallo


Non si ritirarono invece gli Gnecchi, che continuarono la trattativa direttamente con la pinacoteca. Per raggiungere l'obiettivo si fecero appoggiare da alcune loro conoscenze politiche: l'onorevole Enrico Panzacchi, il Marchese Emilio Visconti Venosta e l'onorevole Giulio Prinetti (43).
Con una serie di telegrammi, scambiati fra il Ministero dell'Istruzione Pubblica e la Pinacoteca di Brera tra l'11 e il 15 ottobre 1900, si arrivò ad una conclusione favorevole alla famiglia e, di conseguenza, alla parrocchia di Verderio.
L'11 ottobre Corrado Ricci informò il ministero che l'ancona del Canavesio era richiesta dalla famiglia Gnecchi e quindi lui chiedeva "schiarimenti codesto Ministero avendomi S.E. On. Panzacchi raccomandato cessione" (44).
Il Ministero rispose, il 12 ottobre, chiedendo se lui avesse gravi obiezioni verso questa cessione "che viene molto raccomandata" (45).
Precisa la posizione che Ricci espresse, rispondendo, lo stesso giorno: dichiarò che non si sarebbe opposto alla cessione dell'opera a patto che Gnecchi si impegnasse a non trasferirla né a venderla, pena il sequestro a favore di Brera (46).
Condizioni fatte proprie dal ministero che il 15 ottobre rispose e concluse:
"Dopo parere Vossignoria autorizzo cedere ancona Canavesio per chiesa Verderio previo pagamento dal sig. Gnecchi di lire duemila e previo atto autentico col quale Gnecchi medesimo per sé e suoi successori prenda impegno destinarla soltanto detta Chiesa sotto pena sequestro a favore Pinacoteca Brera se detta ancona fosse quando che sia rimossa dal luogo ove fu destinata. Attendo comunicazione atti. Ministro Gallo" (47).

La documentazione conservata dall'Archivio Centrale dello Stato si interrompe definitivamente nell'ottobre del 1900 (48); nello stesso mese cessa, ma solo temporaneamente, anche quella della Pinacoteca: riprenderà, con gli ultimi sei pezzi, fra l'ottobre e il novembre del 1903.
Si apprende da questi ultimi documenti che nell'autunno del 1903 l'atto formale richiesto da Pinacoteca e Ministero per acconsentire all'accordo con gli Gnecchi non era stato ancora sottoscritto e neppure redatto. Si viene a sapere anche che i Mora avevano intentato causa contro i fratelli Gnecchi per ottenere il rimborso delle spese sostenute per trasportare il polittico da Pornassio a Milano.
Proprio per difendere in tribunale le ragioni degli Gnecchi contro i Mora l'avvocato dei primi, Giovanni Tacconi, sollecitò a più riprese la conclusione dell'atto e insistette affinché questo fosse preceduto da un'ampia ricostruzione di come si era svolta tutta la faccenda, dalla vendita illegale al sequestro e così via (49).
La Regia Avvocatura Erariale di Milano ebbe il compito di stendere il testo. Nel redigerlo si preoccupò soprattutto di evitare il coinvolgimento di Brera nella vertenza Gnecchi - Mora:

MINUTA DI ATTO
Hanno dichiarato e convenuto quanto segue:
Ratificato ed approvato in ogni parte le premesse normative
Il comm. Francesco Gnecchi dichiara di aver prima d'ora ricevuto la tavola della Vergine con diversi santi dipinta da Giovanni Canavesio .....alta.....larga.....all'unico scopo che venisse posta nella nuova chiesa Parrocchiale di Verderio (prov. di Como) dove essa fu anche collocata, e tuttora si trova come pala d'altare.
Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera e solo nel caso in cui tale uso a favore della chiesa di Verderio avesse per qualsiasi ragione a cessare, sarà nel diritto della Pinacoteca di riavere la tavola senza obbligo di pagamento alcuno.
Rimane perciò escluso qualsiasi uso della tavola all'infuori di quello sopraindicato, e proibito l'asporto della medesima dalla chiesa, obbligandosi il sig. comm. Gnecchi anche per i propri eredi e successori a non disporre in modo diverso, e qualora intendesse di toglierla dalla chiesa, non potrà eseguire tale asporto se non per farne immediata consegna alla pinacoteca, escluso qualsiasi diritto in lui di rimborso delle spese fatte per avere la tavola.
Il parroco di Verderio D. Luigi Galbiati interviene al presente atto per dichiararsi notiziato di quanto sopra e per obbligarsi a darne notizia alle superiori autorità in modo che anche i successori suoi ne siano edotti.

La lettera con cui questa bozza veniva presentata, del novembre del 1903, terminava con le seguenti indicazioni: "Tale convenzione dovrà essere tradotta in forma legale o per atto pubblico notarile o per scrittura privata con autenticazione della firma da parte di un notaio" (50).
Il 30 gennaio 1904 l'avvocato Tacconi scrisse alla Fabbriceria di Verderio Superiore per comunicare l'invio di un atto con firma autenticata dei signori Gnecchi, che doveva essere sottoscritta anche dai fabbricieri, per poi essere sottoposta a un notaio. Anche se nel testo non si fa esplicito riferimento alla pala del Canavesio, per la data e il contesto, di essa si dovrebbe trattare (51).
Da questa lettera e da una successiva che il Tacconi scrisse al segretario di Brera, signor Viganò, sembra di capire che il contenuto della convenzione sia stato accettato dai signori Gnecchi. Però, alla data di quest'ultimo documento, 20 marzo 1904, l'atto non era ancora stato sottoscritto e Tacconi terminava quindi con queste considerazioni: "Non pare anche a Lei che la posizione attuale anche della Pinacoteca sia poco regolare? Che occorra stabilire i rapporti fra le parti interessate?" (52).
Non so se in seguito l'atto formale previsto dagli accordi sia stato o no firmato, non essendo riuscito a rintracciarlo: né presso la Pinacoteca, né presso la parrocchia, né presso la famiglia Gnecchi. La ricerca è stata condotta anche negli Archivi Notarili di Milano, dove ho scorso i registri dei notai che hanno operato in città fra il 1904 e il 1906, e di Como, dove, per le più restrittive condizioni di accesso, ho potuto verificare, non di persona, quelli dei notai che sapevo aver collaborato con gli Gnecchi in quegli anni.
Un successivo tentativo è stato fatto presso l'Archivio Arcivescovile e l'ufficio economico dell'Arcivescovado, senza trovare nulla.
Sono tuttavia convinto che il documento sia stato sottoscritto e quindi, in qualche luogo, per ora sconosciuto, ci sia. Non sarebbe infatti plausibile che ai signori Gnecchi fosse stato permesso ciò che ai Mora era stato proibito: l'acquisto di un opera d'arte sacra di una chiesa, per destinarla ad una chiesa diversa. È impensabile, a mio avviso, che una faccenda che aveva coinvolto due Ministeri, una Corte d'Appello, un paio di Soprintendenze e qualche altro ente alla fine si sia sgonfiata al solo cambio di uno dei soggetti coinvolti, il compratore. Per questo ritengo, ripeto, che una convenzione, magari non quella corrispondente alla bozza predisposta dalla Regia Avvocatura, sia alla fine stata sottoscritta, anche se in seguito se ne è persa traccia e memoria.

San Dalmazio nel polittico di Verderio

Non resta che tornare alla bozza di convenzione predisposta dall'Avvocatura Erariale e su di essa fare qualche considerazione.
Nel testo, per la prima volta, si parla esplicitamente della proprietà del bene, per assegnarla alla Pinacoteca di Brera: "Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera".
Un'importante conferma di ciò si trova nella relazione che seguì alla visita pastorale del Cardinale Carlo Andrea Ferrari, avvenuta nel 1905: parlando dell'opera del Canavesio si dice: "...è stata comperata a buoni contanti dalla benemerita famiglia Gnecchi che l'ha qui depositata e starà sempre qui, ma la vera proprietà è dell'Istituto artistico di Brera in Milano"  (53).
Un ulteriore indizio, che sembra confermare che per un certo periodo di tempo dopo la collocazione a Verderio della pala si era ancora a conoscenza dell'esatto svolgimento dei fatti, e che avvalora l'ipotesi che essa appartenga a Brera, mi pare si possa individuare in un brano contenuto nel "Liber Cronicus": nell'ottobre del 1905 uno studioso dell'Università di Zurigo, il professor Siegfried Weber, interessato allo studio della pala, dalla parrocchia di Pornassio dove si era recato per osservarla, fu indirizzato alla Pinacoteca di Brera, dove gli dissero che l'opera era "depositata a Verderio" (54).
Tuttavia il polittico di Verderio non compare. in nessuno dei 9 volumi di "Pinacoteca di Brera", catalogo dei beni posseduti dall'istituto milanese, comprendente anche i beni depositati altrove, presso enti e chiese (55).

NOTE

Abbreviazioni:
ACS : Archivio Centrale dello Stato
APVS: Archivio Parrocchiale Verderio Superiore
ASdS Milano: Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Storici ed Artistici di Milano MGGeC: Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti
MIP: Ministero dell' Istruzione Pubblica
RPB: Regia Pinacoteca di Brera
Uff. Reg. Piemonte: Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria

San Michele Arcangelo eSan pietro apostolo


NOTE
(1) Marco Bartesaghi, 1896 - 1902: il progetto, la realizzazione e la storia della nuova chiesa, in Autori Vari, Verderio, la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano 1902 - 2002, Verderio Superiore, 2002.
(2) Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi di Giovanni Canavesio nella chiesa di Verderio Superiore,   in Archivi di Lecco, anno XV, n. 2, aprile - giugno1992.
(3) Luca Beltrami, La nuova chiesa di Verderio Superiore, Milano, 1902.
(4) Archivio Centrale dello Stato (ACS), Titolo fondo/ Serie AA BB, Div. XII , 1888 - 1907, numero busta 293 "Ministero dell'Istruzione Pubblica" - 4 - Portomaurizio - 1898, Quadri venduti dalle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco.
(5) Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Milano (ASdS Milano) - Archivio Antico, parte seconda "Cambi, cessioni, restituzioni e prestiti" (cassette 11 e 12), 206 ANCONA DEL CANAVESIO, 1900 -1903, classificazione 4, segnatura 11/13.
(6) Il negozio di mobili artistici si trovava in via Vittorio Emanuele, a poche decine di metri da quello di antiquariato (cfr Guida Savallo, Milano, 1898).
(7) Un riferimento ai lavori effettuati dai Mora sulla struttura in legno si trova in "L'Eco di Bergamo", 29 - 30 ottobre 1902. In un articolo intitolato "La nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore" riguardo alla  pala si dice: "Con soddisfazione abbiamo notato come la corniciatura fosse completata egregiamente in Bergamo, nel laboratorio dei signori fratelli Mora".
(8) ACS, lettera, dall'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria (Uff. Reg. Piemonte) al Ministero dell'Istruzione Pubblica (MIP), Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti, 6 dicembre 1898. Dalla parrocchia di Pieve di Teco, secondo l'Uff. Reg. Piemonte, erano stati venduti due quadri: uno, di forma semicircolare, del XVII secolo, rappresentava un presepio; l'altro, una tavola del XV secolo raffigurante la Madonna, era stato da tempo trasformato in tavolino mediante l'apposizione di quattro gambe. Del primo si seppe in seguito che non era stato mai venduto ma solo spostato all'interno della chiesa. Il secondo, venduto circa un anno prima al prezzo di 60 lire, fu in seguito riacquistato e ricollocato al suo posto (crf. ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899).
(9) L'articolo n. 434 del Codice Civile, in vigore nel 1898, recitava: "I beni degli istituiti ecclesiastici sono soggetti alla legge civile e non si possono alienare senza l'autorizzazione del governo".
(10) La scritta in latino è la seguente: ANNO - DNI - MCCCCLXXXXVIIIJ + DIE - VIGESIMA - MENSIS - MARTII + AD - HONOREM - DEI - ET - GLORIOSAE - VIRGINIS  - MARIAE - AC - SANCTI - DALMATII + COMUNITAS - PORNAXI - FIERI - FECIT - HOC - OPUS + REGENTE - DNO - PRESB. - LAZARO - BONANATO - RECTORE - DICTI - LOCI. (trascrizione di Elisabetta Parente, vedi nota 2). Nella lettera dell'Uff. Reg. Piemonte (vedi nota 8) la data trascritta è però 1490 e non 1499 come nella realtà: questo errore si trascinerà per tutta la documentazione che stiamo esaminando.
(11) ACS , minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 14 dicembre 1898; lettera da Uff. Reg. Piemonte a MIP, 2 gennaio 1899.
(12) ACS, minuta di telegramma di stato, da MIP a Prefetto di Porto Maurizio, 9 dicembre 1898.
(13) ACS, minuta di lettera, da MIP a Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti (MGGeC), 14 dicembre1898.
(14) ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899.
(15) ACS, lettera, da Vescovo di Albenga a Prefetto di Porto Maurizio, 8 gennaio 1899.
(16) ACS, Certificato rilasciato a Pornassio dalla Giunta  Municipale alla Fabbriceria della parrocchia, 14 febbraio 1899.
(17) ACS, verbale di sequestro, Regia Questura di Milano, sez. II, via Spiga 81, 15 dicembre 1898. Il documento porta le firme di Pietro Mora, Giovanni Castione, guardia, e Lodovico de Cesare, delegato di P.S.
(18) ACS, minuta di lettera, da MIP a MGGeC, 23 gennaio 1899.
(19) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 11 aprile 1899.
(20) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(21) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(22) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(23) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(24) ACS, minuta di lettera, da MIP a Direttore Pinacoteca di Torino, 28 agosto 1899.
(25) La Galleria Sabauda di Torino possiede un polittico dipinto da Giovanni Canavesio nel 1491. Composto da 16 scomparti ha, al centro, una Madonna in trono con il Bambino. L'opera proviene probabilmente dalla chiesa di Notre Dame des Fontaines di Briga. Cfr Mario Marchiando Pacchiola (a cura di ), Sulle orme di Giovanni Canavesio (sec.XV), Pinerolo, 1990.
(26) ACS, lettera, da Regia Pinacoteca di Torino a MIP, 31 agosto 1899.
(27) ACS , minuta di lettera, e ASdS Milano, lettera, da MIP a Regia Pinacoteca di Brera (RPB), 14 settembre 1899.
(28) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 21 ottobre 1899. Corrado Ricci (Ravenna 1858 - Roma 1934), scrittore e critico d'arte. Fu direttore della Pinacoteca di Brera e di quella di Firenze. Dal 1906 al 1919 fu direttore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma.
(29) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 29 giugno 1900.
(30) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 agosto 1900.
(31) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 febbraio 1900.
(32) ASdS Milano, lettera da RPB a Fabbriceria di Pornassio, 14 marzo 1900.
(33) ASdS Milano, lettera da RPB a Pietro Mora, 28 agosto 1900. I fratelli Annoni compaiono alle voci "Ebanisti e stipettisti" e "mobili: fabbricanti e negozianti" della Guida Savallo di Milano del 1898. Il loro indirizzo era via S. Ambrogio 61.
(34) La famiglia Gnecchi era presente a Verderio dal 1842, quando i fratelli Giuseppe e Carlo ereditarono da uno zio materno, Giacomo Ruscone, i beni che questi possedeva in paese. Giuseppina Turati (Busto Arsizio 1826 - Verderio 1899), moglie di Giuseppe Gnecchi Ruscone (Milano 1817 - 1893) aveva maturato , tra il 1897 e il 1898, l'intenzione di donare a Verderio Superiore una nuova chiesa, in sostituzione della vecchia, ormai inadeguata alle esigenze del paese. Dedicando la chiesa oltreché al patrono, S. Floriano, anche a S. Giuseppe, ella volle rendere omaggio al defunto marito (cfr. Autori vari, Verderio, la chiesa parrocchiale... cit).
(35) Al nobile Fausto Bagatti Valsecchi ( Milano1843-1914), amico della famiglia Gnecchi, si deveil disegno della chiesa parrocchiale mentre il progetto vero e proprio fu realizzato dall'ingegner Enrico Combi  (Milano 1832 - 1906).
(36) Francesco Gnecchi Ruscone (Milano 1847 - Roma 1919) era il figlio maggiore di Giuseppe e Giuseppina Turati. Noto come numismatico e pittore, fu sindaco di Verderio dal 1893 al 1919. Su di lui si può consultare: N. Parise, GNECCHI RUSCONE, Francesco, Dizionario Biografico degli Italiani (http://www.treccani.it/Portale/ricerche/searchBiografie.html).
Notizie anche in Marco Bartesaghi (a cura di) Da Verderio a Cisano, note di un antiquario: autore Francesco Gnecchi Ruscone, 1882, Archivi di Lecco, anno XXIV, n. 4, ottobre -  dicembre 2001.
All'edificazione della chiesa contribuirono anche i fratelli di Francesco: Ercole, Amalia, Carolina, Antonio ed Erminia.
(37) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, senza data.
(38) Ne parla Francesco Gnecchi nella lettera al Ministro Gallo citata nel testo qualche riga più avanti.
(39) Archivio Parrocchiale di Verderio Superiore (APVS), lettera, da F.lli Mora a parrocchia di Verderio Superiore, 18 luglio 1900, Titolo VI (chiesa e luoghi sacri),cl.1,parrocchia, cart. 1, fasc.2/1.Nella lettera i Mora chiedono un atto scritto che attesti l'avvenuta compravendita di un quadro, non ancora consegnato per le condizioni edilizie della chiesa.
(40) ACS, lettera da Francesco Gnecchi a Ministro dell'Istruzione Pubblica, 28 agosto 1900. Nicolò Gallo (Agrigento 1849 - Roma 1907), avvocato e letterato, fu eletto per la prima volta in Parlamento nella XVI legislatura, come esponente della sinistra storica. Ministro dell'Istruzione Pubblica nei governi Rudini dal dicembre 1897 al giugno 1898, e Saracco, dal giugno 1900 al febbraio 1901, fu in seguito Presidente della Camera e ministro di Grazia e Giustizia.
(41) ACS, minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 9 settembre 1900.
(42) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, 29 agosto 1900.
(43) Enrico Panzacchi (Ozzano dell'Emilia 1840 - Bologna 1904), poeta e narratore, fu docente di storia dell'arte all'Università di Bologna. Eletto deputato ricoprì la carica di sottosegretario all'Istruzione Pubblica. Emilio Visconti Venosta (Milano 1829 - Roma 1914), fra i partecipanti alle 5 Giornate di Milano, fu in seguito perseguitato dal governo austriaco e costretto ad espatriare in Piemonte. Eletto deputato nel 1860 e Senatore del Regno dal 1886, tra il 1863 e il 1901 ricoprì la carica di Ministro degli Esteri in diversi governi. Giulio Prinetti (Milano 1848 - Roma 1908), ingegnere e industriale, fu eletto in Parlamento nel collegio di Lecco nel 1882 e restò deputato fino alla morte. Fu Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Rudini, dal luglio 1896 al dicembre 1897, e Ministro degli esteri nel governo Zanardelli, dal febbraio 1901 al febbraio 1903.
(44) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 11 ottobre 1900.
(45) ACS e ASdS Milano, telegramma, da MIP a Corrado Ricci, 12 ottobre 1900.
(46) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 12 ottobre 1900. Sul telegramma conservato in ACS c'è la seguente annotazione a penna: "Sta bene. G - È il quadro del quale si sono occupati S.E. il M.se Visconti Venosta e S.E. Panzacchi".
(47) ACS, minuta di telegramma di stato, Da Ministro Gallo a Corrado Ricci, 15 ottobre 1900.
(48) L'ultimo documento conservato in ACS è una minuta di lettera inviata, il 29 ottobre 1900, da MIP a destinatario ignoto. In essa lo scrivente fa sapere che l'on. Prinetti è stato informato della cessione  "al cav. Gnecchi" della pala di Canavesio e delle condizioni dell'accordo.
(49) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 4 novembre 1903.
(50) ASdS Milano, lettera: "Oggetto Convenzione Gnecchi (Allegato n.4)", da R. Avvocatura Erariale a RPB, novembre. Alla lettera è allegato il foglio intitolato : "MINUTA DI ATTO", trascritto nel presente testo.
(51) Archivio Parrocchiale Verderio Superiore (APVS), Titolo X, Fabbriceria, Cart.6, Fasc. II, Atti: lettera, da avv. Giovanni Tacconi a Fabbriceria, 30 gennaio 1904.
(52) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 20 marzo 1904.
(53) APVS, Titolo II, Arcivescovo, Cl.1, Visite Pastorali, Cart.1, Fasc. 6/1.
(54) APVS, Liber Cronicus 1897/1913, ottobre 1905. Il libro che di Siegfried Weber scrisse nel 1911, intitolato "Die Bregunder der Piemonteser Malerschule im XV und zu Begin des XVI Fahrhunderst",  risulta essere la prima analisi puntuale dell'opera di Canavesio (cfr. Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi... cit. pag. 232).
(55) Pinacoteca di Brera, 9 volumi, direttore scientifico Federico Zeri, collana Musei e Gallerie di Milano, Milano.

Marco Bartesaghi

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Archivi di Lecco, n.2, anno XXXII, aprile-giugno, 2009


LA CONSACRAZIONE DELLA NUOVA PARROCCHIALE DI VERDERIO SUPERIORE IN UN ARTICOLO DE' "LA DOMENICA DEL CORRIERE"

A Verderio Superiore, il 26 ottobre 1902,  veniva consacrata dall'Arcivescovo di Milano, Cardinale Andrea Carlo Ferrari, la nuova chiesa parrocchiale dedicata ai santi Giuseppe e Floriano. "La Domenica del Corriere" del successivo 9 novembre (Anno IV, n.45) dedicò all'avvenimento un ampio articolo corredato da fotografia.   M.B






















*clicca sulle immagini per ingrandirle

lunedì 6 settembre 2010

UN DOCUMENTO DELL'INIZIO NOVECENTO SUI RAPPORTI FRA STATO E CHIESA PER LA TUTELA DEI BENI ARTISTICI

Dei documenti relativi alla vicenda della pala d'altare della parrocchia di Verderio Superiore (vedi l'art: L'INTRICATA VICENDA DEL POLITTICO DI VERDERIO SUPERIORE) ho pensato di trascrivere e presentare questa lettera scritta dal Ministero dell'Istruzione Pubblica al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. Essa affronta il tema del rapporto fra Stato e Chiesa Cattolica, circa la tutela dei patrimonio artistico delle chiese, a pochi anni dall'Unità d'Italia. M.B.


"Le indagini fatte praticare da questo Ministero, assodarono infatti che nel gennaio del 1898 i Fabbricieri della chiesa parrocchiale di Pornassio vendettero all'antiquario Pietro Moro di Milano un quadro del Canavesio raffigurante la Vergine e S. Dalmazio con altri santi, e la lunga iscrizione latina già trascritta nella lettera a cui questa fa seguito, nonché la firma dell'autore e la data del 1490. Il prezzo della vendita fu di lire duemila, di cui sembra una buona parte sia stata impiegata nella costruzione di un pavimento marmoreo in chiesa, nel restauro del Santuario della Madonna colà esistente e nell'acquisto di arredi sacri; e pare che il residuo della somma si trovi depositato in una cassa di risparmio. I Fabbicieri adducono a giustificazione della vendita abusiva il consenso quasi generale della popolazione del luogo e l'autorizzazione del Vescovo d'Albenga, soggiungendo.."
"...essere stata la vendita determinata dal deperimento che il quadro andava subendo.
Di queste giustificazioni, e di quelle del Vescovo d'Albenga, contenute nella lettera qui allegata diretta al Prefetto di Portomaurizio, vedrà codesto  On.Ministero quale conto si debba farne. Ho il piacere intanto di fargli noto che mercé la zelante opera spiegata dal Prefetto su indicato, il prezioso quadro del Canavesio fu potuto trovare e sequestrare a Milano presso l'antiquario Moro.
Unisco, per norma, il verbale di sequestro.
Quanto ai due quadri appartenenti alla chiesa parrocchiale di Pieve di Teco fu accertato che il Presepio del secolo XVII esiste tuttavia colà e che una tavola, raffigurante la Madonna, fu, da circa un anno, venduta per sole lire 60 a persona ignota.
Ora è necessario che il dipinto sequestrato a Milano ritorni nella chiesa di Pornassio, e sarà mia cura di prendere tutte le possibili precauzioni perché vi rimanga ben conservato. Spetta a codesto On. Ministero [...] al modo migliore che conduca al ricupero di quella rara opera d'arte, e al rimborso delle duemila lire all'antiquario Moro. In Piemonte mancano fatalmente ..."

"...leggi speciali che che tutelino il patrimonio delle chiese. Questo Ministero, quindi, non ha modo di poter procedere contro i colpevoli. Codesta Amministrazione, invece, può valesi dell'art. 434 del Codice Civile e credo che nel caso di cui si tratta non vorrà rinunziarvi; sia per non lasciar correre simili vendite abusive, sia perché l'indulgenza non farebbe che incoraggiarle, fomentando la cupidigia degli speculatori, che approfittano dell'ignoranza, in cose d'arte, di Fabbricieri e di preti, per carpire loro, mediante irrisori compensi, opere di valore insigne d'arte e di storia. Un altro grave motivo, per non essere indulgenti, sta nell'atteggiamento ostile che il clero piemontese suole tenere verso il governo quando non si tratta di ottenere benefici, la qual cosa paralizza tutte le buone intenzioni di questo Ministero per tutelare il patrimonio artistico delle chiese. Fra i molti fatti che si potrebbero addurre in appoggio sta sta sopra tutti l'opposizione costante dei parroci e delle Fabbricerie a lasciar catalogare gli oggetti d'arte e i cimelî delle chiese, parecchi dei quali sono tenuti nascosti. Per riuscire nell'intento senza suscitare conflitti, questo Ministero, approfittò dell'ultima Esposizione d'Arte Sacra a Torino, e nel regolamento da esso formulato, fece le più larghe concessioni..."

"...possibili, subordinandole all'obbligo di lasciar fotografare ai funzionari dell'Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria, gli oggetti d'arte esposti dalle chiese. Avuta la fotografia se ne sarebbe poi fatta la scheda descrittiva e la firma del consegnatario non poteva naturalmente mancare. Si fece così - e non invano - nelle esposizioni eucaristiche di Orvieto e di Venezia. A Torino il regolamento fu accettato; ma quando questo Ministero, dopo aver ottemperato agli obblighi assunti da esso, reclamò l'adempimento della clausola relativa alle riproduzioni fotografiche degli oggetti d'arte esposti dalle chiese, si vide opporre un reciso rifiuto dal Comitato dell'Arte Sacra; e malgrado le proteste fatte e la mediazione interposta dal Prefetto locale, i funzionari dell'Ufficio Regionale non poterono eseguire gli ordini del Ministero.
Questa pertinace ostilità  contro l'opera di tutela artistica che ogni buon cittadino dovrebbe caldeggiare, può nascondere l'intenzione di non rendere palesi i tesori delle chiese per poterne disporre liberamente quando che sia; e le vendite abusive, troppo frequenti in Piemonte, lo proverebbero. Di qui, adunque, la necessità di agire senza debolezza, se non per arrestare almeno per diminuire il danno."

 NOTA
Questo documento è conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato, Serie AA BB, Div. XII, 1888 - 1907, busta 293, "Ministero dell'Istruzione Pubblica" - 4 - Portomaurizio - 1898 "Quadri venduti dalle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco"

lunedì 30 agosto 2010

AMBROGIO COLNAGHI, "Ul Campée di Casa Gnecchi" di Beniamino Colnaghi





Nel 1866, cinque anni dopo l'Unità d'Italia, Verderio Superiore, Verdée de sura, contava poco più di 900 abitanti, era incluso nel mandamento III di Brivio e faceva parte della provincia di Como. Sindaco era Giuseppe Gnecchi Ruscone, che guidò l'amministrazione comunale dal 1859 al 1889.



Verderio, come del resto la maggior parte dei comuni brianzoli, era composto da un piccolo nucleo di case, prevalentemente concentrate nel centro storico, e da alcune cascine, abitate da famiglie contadine, Paisòn, che vivevano di agricoltura e di piccoli allevamenti di animali domestici. Considerato che, in quel periodo storico, i contadini erano condannati all'ignoranza, alla superstizione ed alla fame, e che in Italia meno del 10% della popolazione concentrava nelle proprie mani circa il novanta per cento della ricchezza nazionale, la legge era, come scriveva Gaetano Salvemini, "la voce del padrone". I contadini non avevano molto di che vivere, perché il loro sostentamento dipendeva, oltre che dalla forza delle braccia e dalle condizioni meteorologiche, dal fatto che il raccolto doveva essere diviso con la famiglia Gnecchi, i Gnecch, proprietaria pressoché di tutte le terre e degli immobili di Verderio. Fino ai primi anni 20 del '900, le assegnazioni dei beni ai coloni avvenivano con contratti di mezzadria, successivamente, a seguito del "Biennio Rosso" (1919-1920) che generò numerosi scioperi e proteste di operai e contadini, che reclamavano l'aumento delle paghe e condizioni di vita più umane, si passò al cosiddetto pagamento misto dell'affitto, ossia al versamento ai padroni di una quota in denaro ed alla consegna di parte dei raccolti e degli animali. Pier Paolo Pasolini ha narrato instancabilmente quel mondo ormai perduto, ha raccontato nei suoi scritti l'Italia dei contadini, del dialetto e delle tradizioni secolari, ha espresso continuamente il rimpianto per la fine della civiltà contadina e arcaica conosciuta in Friuli, ed ha monitorato, fino al suo tragico omicidio, l'evoluzione delle borgate e dei piccoli centri rurali, dal dopoguerra agli anni del potere capitalistico. E' stato lui a parlare per primo di omologazione culturale e di mutazione antropologica degli italiani alle prese con la modernizzazione senza valori ed il consumismo sfrenato.

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Ambrogio Colnaghi e Clementina Brivio


Ambrogio Colnaghi, detto Bös, nasce a Verderio Superiore il 5 luglio 1866 in "Cùrt dei Barbìs" (baffi), cortile che si affaccia sulla Via Angolare, oggi corrispondente al civico numero 2.



Si presume che, storicamente, i cognomi Colnago e Colnaghi abbiano avuto origine da soprannomi legati al toponimo Colnago di Cornate d'Adda. Dalle ricerche, tuttora in corso, che sto svolgendo per comporre il mio albero genealogico, risulta che una famiglia Colnago si insediò a Verderio Inferiore, presumibilmente intorno alla prima decade dell'800, forse anche prima, alla Cascina Casa Nuova, ora Canova, adiacente la Bergamina. Sui registri anagrafici relativi a quegli anni, consultati presso la Parrocchia di Verderio Inferiore, risulta che la Cascina Casa Nuova era classificata frazione di Verderio Inferiore.



Un giovane componente di quella famiglia patriarcale, Luigi Colnago, dopo essersi sposato con Cecilia Gesuina Scaccabarozzi, nativa di Ornago, si trasferì a Verderio Superiore e mise su casa in Cùrt dei Barbìs. La coppia ebbe cinque figli maschi: il primogenito, Felice, mio bisnonno paterno, nacque nel 1864, mentre il secondo lo chiamarono Ambrogio, Bös appunto, il quale sposò Clementina Brivio, detta Mentina, che da nubile abitava a Contra di Missaglia, dalla quale ebbe quattro figli: Luigia, Carolina e Angelo che morirono in tenera età, e Angela, Angiulina, che, invece, si è spenta alla veneranda età di 95 anni. La foto n. 1 ritrae Ambrogio e Clementina già avanti con gli anni.



Grazie ad un documento notarile lasciatomi in eredità da mio padre, che negli anni 1952-1954 comprò dalla famiglia Gnecchi Ruscone il terreno che coltivava in Via dei Maggioli e gli immobili ubicati proprio in quella corte, ho recentemente scoperto che, per un certo periodo di tempo, il cortile venne denominato "Cùrt del Campari". Presumo che tale nome fosse stato assegnato alla corte in virtù del fatto che Ambrogio ricoprisse l'incarico di "Campée", Camparo, di Casa Gnecchi.



Il Camparo, un mestiere che oggi non esiste più, oltre ad essere una delle figure più caratteristiche del paese, era colui che occupava un ruolo importante nella gestione e manutenzione delle proprietà terriere della famiglia borghese del luogo. Non saprei dire con precisione in quale anno venne nominato Camparo. Ritengo che ciò possa essere avvenuto entro la prima decade del '900. Possiedo il certificato di nascita di suo figlio Angelo, datato 1908, sul quale risulta che Ambrogio svolgesse già l'attività di Camparo.



Ambrogio, oltre ad avere il compito di controllare, regolare e mantenere in buono stato i fossi ed i canali irrigui che portavano acqua ai campi coltivati, dirigeva e coordinava, con esperienza e serietà, le attività dei contadini e dei salariati. Dopocena, quando la regiùra sparecchiava la tavola, annotava su un piccolo registro i lavori e le attività svolte durante la giornata dai lavoranti e appuntava le ore impiegate, che poi trasferiva al sciùr Giüli, Giulio Beretta, il fattore di Casa Gnecchi, che provvedeva a contabilizzarle e pagarle ai salariati.



Bös mi è stato descritto un bell'uomo, di alta statura, con un paio di folti baffi che, spesso, incutevano soggezione e sprigionavano autorità. Portava spesso un vestito di velluto marrone ed un cappello a larghe tese. Possedeva un carattere forte e fiero, intraprendente e rigoroso, che gli permetteva di svolgere le proprie mansioni nell'esclusivo interesse dei suoi padroni, i quali ponevano in lui piena e incondizionata fiducia. Nello stesso tempo era anche un uomo apprezzato dai contadini di Verderio, grazie alla sua competenza e alla dedizione che metteva nel proprio lavoro.



Nell'attuale struttura del centro ricreativo di Via dei Contadini Verderesi, erano ubicati diversi locali contenenti materiali vari e un deposito di fieno. In uno di questi locali, Ambrogio aveva ricavato il proprio laboratorio, nel quale riparava gli attrezzi agricoli, affilava le falci atte al taglio dell'erba e dei cereali, assegnava il lavoro ai contadini quando essi venivano impiegati nelle proprietà Gnecchi. Sua nipote Fulvia mi ha recentemente confidato che Bös era molto abile nel costruire attrezzi agricoli in legno e che le sue specialità erano i rastrelli e i Bàger, il basto di legno da mettere sulle spalle per poter trasportare due secchi alla volta.

L'area detta Breda, dove c'era il frutteto







Oltre il lavoro di Campée, Bös svolgeva altri mestieri, altrettanto preziosi e utili "all'economia aziendale" della famiglia Gnecchi Ruscone.



Mio padre mi ha spesso raccontato, e Felice Colnaghi, suo nipote, mi ha recentemente confermato che durante i periodi dell'anno nei quali maturava la frutta, Ambrogio radunava i contadini nelle proprietà della famiglia Gnecchi coltivate a frutteto e dava loro disposizioni per la raccolta della frutta che, ma ciò è pleonastico ricordarlo, veniva poi caricata sui carri agricoli trainati dai cavalli e interamente portata nei depositi situati presso la villa padronale. Il frutteto probabilmente più grande di Verderio Superiore si trovava nell'area, detta Breda, tuttora cinta da un alto muro, che oggi fiancheggia Via Gramsci. In quell'area erano presenti decine e decine di piante da frutto, di diverse qualità, in prevalenza meli, peri, ciliegi, viti, cachi, noci e noccioli.







Foto 2a
foto 2b
Immagini della sezione cacciatori
di Verderio .
Ambrogio Colnaghi è in centro
con il gagliardetto




Bös era anche presidente della sezione cacciatori di Verderio Superiore, carica che, si presume, mantenne fino alla sua morte. Da un documento Gnecchi intitolato "Denuncia delle armi", datato 23 agosto 1919, si apprende che Ambrogio fosse in possesso di un fucile da caccia marca Vinchester a due canne parallele. Seppur Verderio fosse un piccolo paese, pare che la sezione verderiese avesse una quarantina di iscritti che si riunivano periodicamente presso una saletta del Prestinèe, l'attuale panificio Riva. Al centro delle foto che seguono (foto n. 2 a e2 b), Ambrogio è ritratto in piedi con in mano il gagliardetto tricolore della sezione. Alla sua destra, in posa con il fucile, è riconoscibile Giovanni Riva, soprannominato Gion, classe 1902, che abitava in "Cùrt di Giòn" (Via Angolare 3), la stessa da dove proveniva mia nonna Clelia, conosciuta in paese con il soprannome di scighéra (nebbia).







Ma ciò che più di ogni altra cosa mi incuriosiva, e mi generava fantasie tipiche di quell'età e di quel periodo storico, consisteva nei racconti di mio padre sul Roccolo, Ròcul, (o Bressana) la cui gestione i Gnecchi avevano affidato ad Ambrogio, il quale deteneva il possesso delle chiavi del casello ed il compito di tenere l'area in ordine e ben curata.



Il Roccolo era formato dal casello (foto n. 3), che ancora oggi è visibile nelle vicinanze dell'azienda agricola Boschi, e da un piccolo boschetto di carpini a forma geometrica, attrezzato per la cattura degli uccelli. C'era anche un pozzo dal quale si attingeva acqua fresca per abbeverare gli animali.

foto 3
Il casello del Roccolo



Il casello era strutturato su due piani: al piano terra vi era un locale nel quale si appendevano le gabbie con gli uccelli da richiamo: merli, fringuelli, usignoli, quaglie, allodole etc., mentre il primo piano era adibito a deposito. Il boschetto di carpini era costituito da due fila di piante disposte a ferro di cavallo (nella foto n. 4 è rappresentato un boschetto friulano), ben curate dalla potatura effettuata dai contadini, lungo le quali venivano tese le reti. L'addetto, dopo aver disposto nel boschetto le gabbiette prelevate dal casello contenenti i richiami, si appostava dietro un paravento in legno, nel quale erano stati ricavati piccoli spioncini, e, al momento opportuno, emetteva versi che imitavano i segnali di allarme degli uccelli nei confronti dei rapaci e, contemporaneamente, manovrava lo spauracchio (un filo al quale erano appesi barattoli e campanacci) che spaventavano i volatili causandone la fuga verso le reti, nelle quali rimanevano impigliati e subito catturati.

foto 4
Un roccolo friulano



In buona sostanza, l'uccellagione, ossia la pratica della cattura degli uccelli con reti, col vischio e con altre insidie, era molto diffusa nelle pianure e nelle Prealpi del nord Italia fino agli anni '60 del secolo scorso. Il motivo prevalente era dovuto al fatto che la gente era povera ed affamata e, attraverso la caccia e l'uccellagione, colmava le carenze alimentari dovute alle difficili condizioni di vita. Oggi, a ragione, queste tecniche sono state abbandonate fino alla completa chiusura dei Roccoli, avvenuta in seguito al recepimento delle direttive europee in materia di caccia.



In merito al Roccolo ho due brevi aneddoti, raccontatimi recentemente da Fulvia e Felice Colnaghi.



Presso l'azienda Boschi erano in corso dei lavori sotto l'attenta direzione di un membro della famiglia Gnecchi. Verso mezzogiorno arrivò il calesse a prelevare il padrone per ricondurlo alla villa per il pranzo. Ma il padrone confidò a Bös che non aveva appetito e che avrebbe rinunciato volentieri al prelibato pasto. Ambrogio, invece, aveva fame e rispose: "oh sciùr padron", io sto aspettando l'arrivo della mia nipotina che mi porterà "ul stüen", recipiente di metallo col manico, colmo di minestra di patate e verdure o di "pulenta e pult"; considerata la fame che ho, per me qualsiasi cibo va bene.



L'altro aneddoto si riferisce ad un periodo in cui avvenivano dei furti di cereali e di altri prodotti della terra nei campi adiacenti il Roccolo. Bös, per cercare di arginare il fenomeno e individuare i responsabili, decise di fermarsi fino a tarda sera o addirittura di dormire nel casello. Una sera, mentre stava percorrendo a piedi la stradina campestre (oggi corrispondente alla Via Cantù) che portava verso il Roccolo, fu affrontato da due "fantasmi" coperti da lenzuola bianche, due figuri un po' stupidotti, menga tònt scrocch, che avevano l'obiettivo di spaventarlo e di farlo desistere dal suo intento. La cosa si ripeté per altre due o tre volte, finché Ambrogio si spazientì, e, munito di una roncola, affrontò e rincorse gli sprovveduti fantasmi che, da allora, non si fecero più vedere.







C'è una bella foto d'altri tempi (n. 5), mostratami da Fulvia Colnaghi, riprodotta anche sul libro di Giulio Oggioni "Quand serum bagaj", che ritrae "Ul Campée Bös" in bella posa con alcuni suoi parenti: Ernesta Aldeghi, zia Nesta, originaria della Cascina Salette, moglie di suo nipote Luigi, che tiene in braccio Felice Colnaghi, e parecchi nipotini, fra cui la stessa Fulvia, Vittoriano e mio padre Giovanni. La foto, che dovrebbe risalire all'estate del 1930, è stata scattata nel terreno che la sua famiglia aveva in affitto al Saruchèn, l'area alla destra dell'attuale Via S.Rocco.

foto 5
Verderio Superiore - anno 1930
In piedi da sinistra:
Giovanni Colnaghi, Ambrogio Colnaghi, Fulvia Colnaghi
Ernesta Aldeghi con, in braccio, Felice Colnaghi.
Terzo da sinistra seduto, Vittoriano Colnaghi


Ambrogio è deceduto il 4 aprile 1942 all'età di 75 anni ed è stato sepolto nel cimitero del paese.


Oggi i suoi resti riposano nell'ossario comune posto sotto la cappella centrale del vecchio cimitero.




In memoria di mio padre.



Ringrazio sentitamente Fulvia, Tina e Felice Colnaghi per avermi permesso di realizzare queste brevi note storiche, che avevo in serbo di fare da tempo, attraverso la presa visione di alcune fotografie di Ambrogio e la divulgazione di preziose ed utili informazioni sulla sua vita.



Sono grato ai parroci di Verderio Superiore e Verderio Inferiore per avermi concesso l'autorizzazione a consultare gli archivi parrocchiali.

Beniamino Colnaghi



domenica 29 agosto 2010

TORTA PAESANA? IO LA FACCIO COSI' di Giovanna Villa

La torta paesana, o torta di latte, o michelasc (michette e latte) è il dolce che tradizionalmente si prepara a Verderio, Inferiore e Superiore, nelle domeniche di settembre in cui si svolgono, con rigorosa separazione, le sagre dei due paesi. La ricetta per la sua preparazione ha probabilmente tante varianti quante sono le famiglie. Qui è presentata quella di Giovanna Villa, mia moglie. M.B.


Gli ingredienti:
Un litro di latte; 4 michette rafferme ma non secche;400 grammi di amaretti; 150 grammi di cacao, metà dolce e metà amaro; un etto di burro; un etto di zucchero; uvette, cedro candito e pinoli; una bustina di vanillina; un pizzico di sale; un uovo


Spezzare il pane



sbriciolare gli amaretti




aggiungere il latte



mescolare e lasciare riposare.



Dopo qualche ora mescolare energicamente
con le mani o con la frusta elettrica



Aggiungere il burro morbido,



l'uovo,



il cacao e lo zucchero,



uvetta, cedro e pinoli,



il pizzico di sale e la
vanillina.




Imburrare la teglia




e cospargerla di pan grattato.




Travasare il preparato e mettere in forno per circa un'ora
a 180°.






Romina Villa, un'amica di Verderio Superiore mi ha fatto avere queste due ricette Vimercatesi della torta paesana.

Il vecchio libro di ricette che possiede la mia mamma è stato stampato nel 1975.
Si intitola: Vecchia Brianza in cucina di Ottorina Perna Bozzi - Aldo Martelli/Giunti Editore
Romina Villa



Torta paesana
Ricetta di Vimercate:
 

1 litro di latte intero
5 panini (michette)
gr. 250 di zucchero
gr. 100 di cacao amaro
gr. 150 di cacao dolce
gr. 200 di biscotti secchi
gr. 200 di amaretti tritati
gr. 100 di Uva di Corinto
1 bustina di zucchero vanigliato
1 bustina di droghe per dolci (??? ndr)


Torta paesana bianca,
sempre di Vimercate:


mollica di pane gr. 400 (meglio il pan francese)
latte due bicchieri
3 uova
zucchero gr. 100
sugo e buccia gialla di un limone
sale un pizzichino burro gr. 50
Mettere a bagno la mollica per qualche ora e quando ha assorbito tutto il latte, spremerla e lavorarla col cucchiaio insieme al resto, meno il burro, che va sciolto in una padella, dove si versa il composto lavorato bene al fuoco per 20'. Preparare una tortiera imburrata e impanata, versarvi il composto e metterlo al forno con qualche fiocchetto di burro. Servirla anche calda, spolverizzata di zucchero.




BENIAMINO COLNAGHI nota biografica

Nasce a Verderio Superiore nel 1955, in Cùrt dei Barbìs.
Trascorre l'infanzia e l'adolescenza in paese. Apprende il dialetto locale partecipando alla vita del paese, conosce la cultura e le tradizioni dei contadini prima, e degli operai poi, ne apprezza la vita semplice e modesta, ma densa di segni e riti secolari.
Chierichetto dal 1964 al 1966.
A 18 anni si iscrive alla sezione del PCI di Verderio Superiore. Dopo alcuni anni di gavetta ne diventa segretario. Prosegue l'esperienza politica prima nel PDS e poi nei DS.
E' eletto consigliere comunale di minoranza per tre consigliature.
Nel 1999 è eletto Sindaco di Verderio Superiore e nel 2004 viene riconfermato con il 61% dei voti.
Attualmente non è iscritto a nessun partito.
Sposato e padre di una figlia. Diplomato. Buon lettore di libri e quotidiani.
Amante dell'India, del Tibet e dell'Asia in generale, nonché, anche se può apparire una contraddizione, della Svezia e della Repubblica Ceca.
In Boemia trascorre spesso le proprie vacanze, alla ricerca di simboli, luoghi e tradizioni di quella terra. E' per questi motivi che scrive per il blog del suo amico Marco alcuni articoli su quei luoghi.
Ama la storia e le migliori tradizioni dei popoli, crede nelle identità e nella preservazione delle culture locali, ma, nello stesso tempo, come affermava P.P. Pasolini, è fermo oppositore della separazione e frammentazione nazionale.










sabato 28 agosto 2010

MI PIACCIONO I GRAFFITI di Marco Bartesaghi




Foto 1
Milano

Lo dico piano, per paura di perdere troppi amici: mi piacciono i graffiti.
Sì, i dipinti sui muri, la street art o come altro si chiama, insomma le immagini e le parole che appaiono sui muri delle città o sulle saracinesche dei negozi.
Non mi piacciono sempre, non dappertutto, non tutti ma, in generale, mi piacciono.


Foto 2
Porta Genova
Milano

Non mi piacciono, naturalmente, quelli o insignificanti; quelli nel posto sbagliato: su edifici o monumenti che meritano di essere apprezzati per come sono, senza sovrapposizioni; quelli che impediscono la funzionalità della cosa su cui sono stati fatti: i finestrini dei treni o degli autobus, ad esempio. In questi casi devo ammettere però di non essere molto coerente: quando io sono all'interno del treno e i finestrini imbrattati mi impediscono l'aspetto più bello del viaggio, lo sguardo sul paesaggio in movimento, sono più severo; quando vedo il treno dipinto dal marciapiede della stazione lo sono di meno: debolezze!
Quando mi piacciono? Quando sono belli, naturalmente; quando sono imprevedibili (foto 3)  e riescono a stupirmi; quando si adattano alla superficie e allo spazio a disposizione con intelligenza (foto 5)
foto.3
CARTA IGIENICA
Via Mercanti, Milano

e creatività; quando sono ironici (foto 4). Apprezzo le opere complesse, ma anche le semplici o le sole firme, le "tags" (Foto 6).

Foto 4
Darsena, Milano


Tante volte mi sembra di non capirli, perché ermetici, strani:ma mi succede con quasi tutta l'arte contemporanea, e con gran parte della poesia: penso si debba continuare a guardare quella, e leggere e ascoltare questa, in attesa che uno spiraglio si apra, e comincino a parlarti.
Fotografo i graffiti che incontro; qualche volta li vado a cercare dove è più probabile che ci siano, periferie, stazioni, sottopassaggi, edifici dismessi; mi piace quando riesco a trovarne di riconducibili allo stesso autore in luoghi diversi.



Foto 5
Como


Da qui in avanti presenterò serie di graffiti sul blog, cercando di corredarle con qualche notizia o qualche leggero commento. Pubblicherò anche quelli che qualche frequentatore del blog mi volesse mandare, ma a mia discrezione.



Foto 6
Piaza Marconi
Vimercate


I GRAFFITI DI CASCINA FORNACETTA di Marco Bartesaghi

La prima serie di graffiti che presento si trova nei ruderi di CascinaFornacetta a Verderio Inferiore. Sono alcuni "mostriciattoli" disegnati sul muro esterno delle stalle. La cascina si raggiunge da un viottolo, "la Strada dei Boschi" che si imbocca, sulla sinistra, qualche decina di metri oltre il cimitero di Verderio Inferiore.